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Camilla Coppola: alle radici della maestria

“La velocità è la forma di estasi che la rivoluzione tecnologica ha regalato all’uomo. A differenza del motociclista, l’uomo che corre a piedi è sempre presente al proprio corpo, costretto com’è a pensare continuamente alle vesciche, all’affanno; quando corre avverte il proprio peso e la propria età, ed è più che mai consapevole di sé stesso e del tempo della sua vita. Ma quando l’uomo delega il potere di produrre velocità alla macchina, allora tutto cambia: il suo corpo è fuori gioco e la velocità a cui si abbandona è incorporea, immateriale – velocità pura, velocità in sé e per sé, velocità estasi” 

Apre così Milan Kundera il suo romanzo La Lentezza. Nel giro di poche pagine, con parole semplici e precise, mette il lettore davanti alla dicotomia lentezza/velocità, materialità/immaterialità, presenza/estasi, caratteristica del nostro tempo. “Perché è scomparso il piacere della lentezza?” chiede poi, “dove mai sono finiti i perdigiorno di un tempo?” E ancora: “dove sono quegli eroi sfaccendati delle canzoni popolari, quei vagabondi che vanno a zonzo da un mulino all’altro e dormono sotto le stelle?”.

Perché è scomparso il piacere della lentezza? 

Di lentezza, e del piacere nella lentezza, parla Alle Radici della Maestria, un progetto di Camilla Coppola. Camilla è una giovane fotografa che, in una società sempre di fretta, sceglie di “cogliere delle pause, respiro dalla corsa frenetica del mondo”. La lentezza, sembra suggerire la Coppola attraverso le sue immagini, non è scomparsa. Si è nascosta, sopraffatta dal rumore delle macchine, dall’ossessione costante per il progresso e la velocità. Ma, per dirla con le sue parole, “la vita è generosa, e dona storie a occhi pazienti”. Fermarsi, lasciare che il resto continui a vorticare tutto attorno. Respirare, osservare. Emergeranno allora, piano piano, le storie di chi ancora va lentamente, di chi presta attenzione, gode del momento, della fatica, presente al proprio corpo e alle proprie mani. 

Alle Radici della Maestria ci porta a Carrara. “Nel corso dei secoli gli artisti hanno utilizzato il marmo di Carrara per le loro opere. Sono andati direttamente nelle cave a sceglierlo e lo hanno lavorato con le loro mani” spiega Camilla. Molto è cambiato, e nella storia recente le cave di Carrara hanno assunto un volto e un significato del tutto nuovi: “le macchine hanno sostituito la lavorazione manuale. Buona parte del marmo estratto, inoltre, viene utilizzato a fini commerciali nell’industria dell’arredamento, mutando i presupposti storici e le finalità d’uso di questo materiale.” 

C’è chi resiste però, e continua a lavorare il marmo con le proprie mani: con tempo, pazienza, lentezza, amore per la fatica e il lavoro. Una piccola rivoluzione che si oppone al dominio delle macchine sui corpi. I soggetti di Alle Radici della Maestria sono le creazioni di queste mani, che contrastano la minimizzazione dei tempi di produzione e la massimizzazione dell’efficienza produttiva, attraverso il piacere del fare

Le fotografie stesse, con la predominanza del colore bianco, sembrano rappresentare un lungo respiro. Ispirano calma, distensione: “il bianco è un colore spesso presente nelle mie fotografie, è promessa di libertà, di rivelazione”. Un occhio e un naso che emergono dal marmo, promessa di diventare un volto, bozzetti, scalpelli, dettagli di corpi in costruzione, prototipi in gesso. E poi le cave, le pareti e i blocchi mancanti, la pietra che sanguina per dare vita all’arte. 

Ci sono un buffo cavallo e una danzatrice, le curve di una figura femminile e un volto di Medusa. Le mani non si vedono: la presenza degli artisti è evocata soltanto dagli strumenti di lavoro e dalle opere in fieri, da una scala poggiata in un angolo, un cavalletto, un bicchiere, un paio di occhiali. Il lavoro è silente, l’uomo non c’è. Come a dire l’importante è il tempo, la cura, l’oggetto. Il silenzio delle immagini di Camilla è insieme leggero e pervadente. Viene voglia di osservare. Bianco su bianco, gli oggetti raccontano le presenze aleggianti degli artisti. 

Creare o raccontare la bellezza, attraverso la fotografia così come scolpendola nel marmo, richiede pazienza, fatica, dedizione, molta sensibilità. Richiede di essere presenti a sé stessi. Sentire il proprio corpo, percepire lo scorrere della vita, non cercare di superare i limiti che ci impone il passare del tempo. Richiede, più di ogni cosa, di essere e sentirsi mortali. 

Se la modernità è superamento del limite (plus ultra, come si legge sullo stemma della bandiera spagnola), le mani che si ostinano a lavorare il marmo di Carrara, in barba al diktat dell’efficienza, sono profondamente antimoderne. Alla macchina moderna che incrementa la sua rumorosa produzione, risponde la mano, catturata da Camilla Coppola, con un gesto leggero, silenzioso, bianco.

 

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